Ho promesso al mio amico Rebe che avrei scritto una recensione del suo libro. Ma questo non è solo un semplice giudizio critico: è un pezzo di memoria, un filo che collega il presente a un passato fatto di sogni, risate, gioventù e legami che, spesso, ritornano quando meno te lo aspetti.
Conobbi Massimiliano Rebeschini, per tutti noi semplicemente Rebe, poco più che ventenne, appena trasferita a Milano. Avevo il cuore leggero e la testa piena di sogni e, come spesso accade a quell’età, la vita si riempiva velocemente di volti nuovi e affetti sinceri. Lui era il miglior amico di un mio caro collega e amico, Alberto. Ricordo un gruppo affiatato, gioioso, animato da una grande voglia di vivere, condivisione e una spontaneità che oggi sembrano sempre più rare.
Sono passati molti anni da allora. Ognuno di noi ha seguito la propria strada, vivendo esperienze che ci hanno portati lontano, ma mai del tutto distanti. È proprio il tempo che ci ha fatto ritrovare. Un giorno ho scoperto che Rebe aveva scritto un libro. Ammetto che la notizia mi ha colpita profondamente. Ancora di più mi ha toccata la lettura. Perché “Volevo solo fare il carabiniere” non è semplicemente un libro: è un racconto autentico, intenso ed emozionante, in cui ho ritrovato frammenti della mia generazione, degli anni ’80 e ’90 che sono stati anche i miei e che ora sembrano così lontani.
In quelle pagine riaffiorano immagini di famiglia: i vicini che bussano per un saluto, scambiano un sorriso, la cucina che profuma ad ogni ora, i bambini che giocano nel cortile, i genitori che appoggiano i figli nei piccoli-grandi gesti quotidiani. Era un’Italia fatta di comunità, di parenti e vicini nel senso pieno del termine. Ho ritrovato in Rebe lo stesso calore che ho vissuto io, il senso di appartenenza che si respirava in quegli anni, quando bastava un semplice passaparola per sentirsi parte di qualcosa più grande, dove crescere non significava solo imparare, ma anche condividere.
Rebe entra nell’Arma dei Carabinieri nel 1991 con la semplicità e l’entusiasmo di chi segue un ideale: desidera solo servire il Paese, proteggere i più deboli, fare ciò che è giusto. Vuole semplicemente essere un carabiniere. Sembra facile, vero? Eppure, il libro ci rivela che facile non lo è mai stato. Racconta gli inizi: la provincia, il battaglione, la radio, le volanti, le notti in pattuglia e le mattine in caserma. Narra una vita di continui trasferimenti – sempre una nuova città, una nuova stanza, nuovi colleghi, strade da imparare a conoscere, amici da cercare e ricostruire da zero. A volte li ha trovati, altre volte no. Quella solitudine diventa una presenza silenziosa e invisibile, che si insinua anche nei momenti di apparente stabilità.
Ma ci racconta anche un altro aspetto: il lato meno romantico della divisa. Le gerarchie opprimenti, le regole non scritte, le ingiustizie interne, i favoritismi. La meritocrazia promessa che non si realizza mai. Così, lentamente, il sogno del ragazzo che voleva solo servire la gente si sgretola, pezzo dopo pezzo, come un mosaico che perde i suoi colori.
Dopo trentadue anni di servizio, Rebe è costretto a lasciare l’Arma. E con la divisa, perde un pezzo enorme di sé: la sua identità, la sua famiglia, il suo posto nel mondo. Leggere quei capitoli è doloroso. Si sente tutto: il lutto interiore, lo smarrimento, la frustrazione. Ma anche il tentativo, lento ma ostinato, di risalire. Di raccontare per capire. Di accettare per andare avanti.
“Volevo solo fare il carabiniere” è un libro che raccomando con tutto il cuore, soprattutto a chi non ha mai indossato una divisa. Non è solo una storia sui carabinieri, ma un racconto sui sogni, sulle delusioni, sulle ingiustizie e sulla determinazione a fare la cosa giusta anche quando tutto sembra impedirlo. È una testimonianza intensa di come si possa cadere, ma anche di come si possa sempre rialzarsi, raccontando la propria verità con onestà e dignità.
Ho visto, tra le righe, il Rebe che conoscevo. Il ragazzo pieno di vita e di valori che avevo incontrato tanti anni fa. Ma anche un uomo nuovo, consapevole, maturo. Un uomo che nonostante tutto non ha smesso di credere nella giustizia. Un uomo che aveva solo un sogno semplice: fare il carabiniere.
E oggi, raccontandolo, ha fatto molto di più.
Quadro raffigurato: Ronda di notte di Rembrandt, 1642