Credo che sia capitato a tutti nella propria vita di aver commesso il terribile errore di giudicare gli altri.
Anzi, per alcuni, è addirittura un comportamento abituale, un modo di essere.
Ci piace creare storie parallele, anche un po’ cattivelle, per giustificare le azioni che compiono i parenti, gli amici, i colleghi o i semplici conoscenti. Senza rendercene conto, ipotizziamo ciò che accade nella vita di un’altra persona, forse perché, inconsapevolmente, abbiamo bisogno di sentirci migliori degli altri e di manifestare il nostro rifiuto davanti ad un determinato atteggiamento. Pensate per esempio, a come è stata accolta Silvia Romano dopo il suo rilascio, ai messaggi di odio e intolleranza, sessismo e islamofobia per ciò che a noi PAREVA DIVERSO. Siamo troppo abituati a parlare di costanti, di similarità, di normalità, di problemi semplici e soluzioni a portata di mano, in un modo complesso e che cambia in continuazione. Il nostro linguaggio è antico e imperfetto e mal si combina con il cambiamento. E raccogliere frammenti di informazioni per poi emettere subito sentenze e giudizi, col rischio spesso di ferire, fa parte di questo meccanismo.
I Sioux avevano un proverbio molto interessante a tale proposito: prima di giudicare una persona, cammina tre lune nelle sue scarpe. Criticare una persona senza essere in grado di mettersi nei suoi panni, senza mostrare una briciola di empatia e senza cercare di capirne il punto di vista, vuol dire, in realtà, semplicemente esporre il proprio modo di essere e pensare di possedere una verità assoluta. Ma qui la ragione ci auto inganna! Ergerci come detentori della verità, ci converte solo in persone chiuse al confronto e ci restringe il cammino verso la crescita personale. Dobbiamo, quindi, imparare a sospendere il giudizio, un difficile esercizio mentale che può, però, essere utile nelle nostre relazioni personali. Per arrivare al nocciolo della trattazione a questo punto è ragionevole domandarsi: come evito il giudizio? Per prima cosa, è fondamentale amare sé stessi, accettare le diversità e ricordarsi che ogni individuo ha la propria unicità.
Bisogna, inoltre, separare l’osservazione dalla valutazione. Non è un processo facile, lo so, ma ci si può allenare. È necessario spostare l’attenzione da un punto di vista interno ad un punto di vista oggettivo, centrato solo su ciò che ci arriva dall’esterno ed osservarlo con sguardo marziano, ingenuo e disinteressato. Non bisogna, poi, mai generalizzare, ma circostanziare nel tempo e nel contesto le nostre osservazioni: dire Giulio è un calciatore scadente è ben diverso dal dire Giulio ha segnato un gol in 10 partite.
Ancora, alcune espressioni come sempre, mai, ogni volta, raramente ecc.- sono usate come esagerazioni, fanno confondere l’osservazione con la valutazione e provocano, a loro volta, una critica che porterà ad apporre resistenza nel nostro interlocutore.
Per concludere, un monito a tutti i genitori: ricordate, un figlio giudicante ha avuto una madre che lo giudicava puntandogli contro il dito del potere, il famoso indice, simbolo di minaccia, disapprovazione e usato, nella comunicazione non verbale, come un vero e proprio bastone di comando.
Quadro raffigurato: particolare del Polittico di Isenheim di Mathias Grünewald, 1512-15