Sì, lo ammetto, sono fissata con Dante. Per me, lui non è solo uno dei più grandi poeti della storia: è stato un illuminato, qualcuno che ha visto oltre il suo tempo, che ha compreso profondamente la natura dell’anima umana, anticipandoci tanti insegnamenti che oggi possiamo ancora applicare nella nostra vita.
Quando al liceo ho studiato la sua Divina Commedia, per esempio, non avrei mai immaginato che una delle cose che mi avrebbe colpito di più fosse la rappresentazione degli ignavi. Quelli che Dante mette nell’antinferno – cioè nemmeno degni di stare nell’inferno – non sono puniti per un atto malvagio, ma per qualcosa di ben peggiore: per non aver fatto nulla, per non aver preso posizione, per non essersi mai messi in gioco. È il peccato della passività, dell’inerzia, dell’immobilismo.
Uno degli esempi che mi ha davvero colpita è il caso di Papa Celestino V, che Dante descrive come colui che, avendo avuto un’opportunità unica di fare qualcosa di grande, decide di non agire, di non compiere nulla, rinunciando al suo ruolo. Non è tanto la mancanza di coraggio che lo rende un peccatore, quanto il fatto di non aver fatto di più, di aver scelto di non cambiare, di non essersi messo in gioco, di non aver affrontato le sfide. Questo mi ha fatto riflettere: quante volte nella vita ci fermiamo, non agiamo per paura di sbagliare, per paura di fallire o semplicemente perchè siamo stanchi di camminare? Quante volte rimandiamo, sperando che le cose si risolvano da sole? E invece, spesso, il non fare è proprio quello che ci fa più male.
Mi ha colpito anche la punizione di questi ignavi: corrono nudi, in eterno, dietro ad un vessillo bianco senza simbolo, che cambia continuamente direzione, senza mai fermarsi, punti da vespe e mosconi che li fanno sanguinare. Il sangue che cade a terra insieme alle lacrime, viene raccolto da vermi ributtanti, come a simboleggiare il fatto che non sono mai stati veramente vivi.
L’immobilità, l’essere bloccati, non è solo una condanna terrena, ma una condanna per l’anima. Non siamo fatti per stare fermi. La vita, per quanto difficile, richiede azione, richiede movimento, anche se i passi sono piccoli, anche se sembrano incerti. La non azione, per Dante, è la forma più grave di peccato, perché impedisce all’anima di crescere, di evolversi e di avvicinarsi a Dio.
E qui viene il punto più personale per me. Nella mia vita, stare fermi non è mai stato un’opzione. Anzi, l’azione continua è quasi una fissazione. Non posso restare ferma, non posso rimanere nell’immobilità, perché ogni giorno sento il bisogno di cambiare, di evolvermi, di fare. È una cosa che pretendo anche dai miei figli e da mio marito, forse troppo.
Quando vedo uno di loro restare nell’inerzia, quando rimandano qualcosa che devono fare o quando scelgono la via facile dell’immobilità, io divento frenetica. “Muoviti! Non stare fermo!” è una frase che dico spesso, ma c’è un’altra frase che più di tutte ci accomuna in famiglia quando vogliamo davvero ferirci: “Sei un ignavo!”. Non è una frase che usiamo per divertimento, ma quando vogliamo farci veramente male. È il nostro modo di dire che non stiamo facendo abbastanza, che ci siamo fermati, che non stiamo vivendo davvero.
Questa riflessione mi ha fatto capire quanto sia fondamentale per me, ma anche per chi mi sta intorno, non fermarsi mai, non arrendersi, non rimanere statici davanti alle difficoltà.
Se l’ignavia è la colpa dell’anima che non osa, che non si muove, allora ogni giorno per me è un’opportunità per fare e per migliorare. La vita è un percorso di cambiamento continuo, dove non ci si può mai permettere di stare fermi. E allora, alla fine, non fare l’ignavo! Metti in moto le tue idee, i tuoi sogni, le tue azioni. Non aspettare che qualcosa cambi da solo, non restare fermo a guardare. Ogni passo che facciamo, per quanto piccolo, ci porta più vicini alla nostra realizzazione. Quindi, davvero, non fare l’ignavo. Muoviti!
Quadro raffigurato: An Old Woman Asleep di Gabriel Metsu, 1629 – 1667