Amore, Avidità, Bisogni, Cambiamento, Consapevolezza, Crescita, Love, Relazione, Sentimenti

L’ALCHIMIA DEL LINGUAGGIO

Sarete sorpresi di sapere che la parola inglese “love” potrebbe derivare dal termine sanscrito “lobha”, che significa avidità. A prima vista, questa connessione potrebbe sembrare una semplice coincidenza, un gioco del destino linguistico. Tuttavia, c’è qualcosa di profondamente suggestivo in questa relazione, qualcosa che richiama un mistero più profondo, un significato alchemico che va oltre la superficie.

In sanscrito, “lobha” rappresenta l’avidità, il desiderio insaziabile di possedere, accumulare, trattenere. L’avidità è energia grezza, un bisogno che si concentra esclusivamente sull’appropriazione, senza pensare alla condivisione. Al contrario, l’amore – “love” – è pura generosità, un fluire ininterrotto di dare senza condizioni, senza aspettative. L’avidità è centrata sull’io, mentre l’amore espande i confini del sé per includere l’altro. Eppure, c’è qualcosa di profondamente affascinante nel pensare che queste due forze opposte possano essere legate, quasi come due facce della stessa medaglia.

Forse, il legame tra “lobha” e “love” non è solo linguistico, ma anche simbolico. L’alchimia interiore, quell’antica arte che si occupa di trasformare il piombo in oro, ci offre una prospettiva illuminante. Nell’alchimia spirituale, ogni emozione o energia “negativa” può essere trasmutata in qualcosa di più elevato e puro. È un processo di trasformazione interiore, in cui l’avidità – quando riconosciuta, accettata e “digerita” – può evolversi in amore.

Immaginate l’avidità come una fiamma grezza, che brucia con un’intensità caotica, consumando tutto ciò che tocca. Se questa fiamma viene controllata, se diventa il centro di un processo consapevole, può trasformarsi in una luce calda e radiosa, capace di illuminare e riscaldare. In questo senso, “lobha” può davvero diventare “love”. L’energia del desiderio, quando purificata, perde il suo bisogno di possedere e si trasforma in un desiderio di condividere, di connettersi, di donare.

L’amore, dunque, non è l’opposto dell’avidità, ma la sua trasmutazione. È l’avidità che ha imparato a dimenticare se stessa, a dissolversi nell’altro. Questo processo non è solo poetico, ma anche profondamente spirituale. Ci ricorda che ogni emozione umana, anche quelle che consideriamo “spiacevoli”, ha un potenziale nascosto, un seme di trasformazione che può portarci a uno stato più elevato di consapevolezza e connessione.

Che la parola “love” derivi davvero da “lobha” o meno, rimane un mistero. Ma questa possibile connessione ci invita a riflettere su qualcosa di più grande: la capacità umana di trasformare l’oscurità in luce, la bramosia in generosità, l’avidità in amore. È un viaggio alchemico che tutti possiamo intraprendere, un invito a guardare dentro di noi e a scoprire il potenziale di ogni energia che ci abita.

Forse, in fondo, l’amore e l’avidità sono due tappe di un unico percorso. Sta a noi decidere quale direzione prendere, quale trasformazione abbracciare. E chissà, magari proprio in questo mistero linguistico si nasconde una lezione preziosa: l’amore non è qualcosa di esterno, ma il frutto di un grande lavoro interiore, una conquista che nasce dalla trasmutazione dei nostri desideri più profondi.

Scultura raffigurata: Love di Robert Indiana, 1965