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IL PROFUMO DEL PERDONO

Chiedere perdono è una delle cose più difficili che possiamo fare. Ci mette a nudo. Ci costringe a guardare negli occhi ciò che vorremmo dimenticare: l’errore, la ferita che abbiamo causato, le parole sbagliate, il silenzio che ha fatto male, la scelta che ha tradito la fiducia. Eppure, è proprio in quel gesto, spesso tremante e pieno di pudore, che accade qualcosa di grande: torniamo umani, torniamo veri.

Perché il perdono, prima ancora di essere accolto, è un modo per dire all’altro: “Io vedo quello che ho fatto. E mi dispiace. Tu conti per me”. È un ponte che prova a ricucire, anche quando non sa se dall’altra parte ci sarà accoglienza. È un atto di responsabilità, ma anche di amore.

Molti evitano di chiedere perdono per orgoglio, per paura di essere rifiutati, per non dare “potere” all’altro. Ma in realtà, chiedere perdono non ci abbassa: ci rialza. È uno dei pochi gesti che riesce a liberare due persone contemporaneamente. Chi lo riceve, se vuole, può guarire. Ma chi lo chiede, in ogni caso, inizia a respirare di nuovo.

Chiedere perdono, infatti, è anche un passo di pace verso sé stessi. Non per cancellare il passato, ma per smettere di restare prigionieri di ciò che non possiamo più cambiare. E per dire, con sincerità: “Io voglio fare meglio. Io voglio essere migliore”.

E poi, c’è qualcosa che ci conforta, sempre: quando noi troviamo il coraggio di chiedere perdono a Dio, Lui ci ha già perdonati. Prima ancora che apriamo bocca, prima ancora che finiamo la frase. Perché il Suo amore non aspetta il nostro pentimento per esistere: ci accompagna, ci precede, ci accoglie. Noi ci liberiamo nel momento in cui lo riconosciamo.
È un ritorno a ciò che siamo davvero: alla verità, alla relazione e alla luce.

Come scrive Emily Dickinson: “Il perdono è il profumo che il fiore lascia sul tallone che lo ha calpestato”. E se può farlo un fiore, ancora meglio riesce ad un cuore che ha conosciuto l’amore.

Quadro raffigurato: Ritorno del figliol prodigo di Rembrandt, 1668