A volte le parabole raccontate da Gesù sembrano semplici, quasi infantili. Ma poi restano dentro, lavorano piano, come il seme nella terra. La parabola del seminatore è proprio così. Breve e diretta, ma piena di significato.
Gesù parla di un uomo che esce a seminare. E il seme, che rappresenta la Parola — cioè qualcosa di vivo, vero, che porta senso e trasformazione — cade in terreni diversi. C’è il terreno lungo la strada, dove il seme viene subito portato via dagli uccelli. C’è il terreno sassoso, dove nasce qualcosa in fretta, ma le radici non riescono a scendere in profondità. C’è quello pieno di spine, dove il seme cresce ma viene soffocato. E poi, finalmente, c’è la terra buona. Quella che accoglie il seme e gli permette di dare frutto.
Lo sentiamo subito: questa parabola non è solo una metafora agricola. Sta parlando di noi. Di come ascoltiamo. Di come viviamo. Di cosa facciamo con ciò che riceviamo.
Ci sono giorni in cui siamo come la strada: troppo di corsa, troppo distratti, troppo pieni di rumore. Le parole buone ci arrivano, ma non riescono nemmeno a toccarci. Scivolano via. Magari ci sono arrivate attraverso qualcuno che ci voleva bene, ci voleva aiutare, o da un libro, oppure da un gesto gentile, ma niente. Non eravamo presenti. E quel seme se n’è andato.
Poi ci sono quei momenti in cui qualcosa nasce. Una spinta, un entusiasmo, un “sì, adesso cambio davvero”. Ma poi la vita chiede costanza. E ci accorgiamo che sotto l’emozione non c’erano radici. Quel seme brucia al primo sole.
Altre volte ancora, sentiamo che il seme ha messo radici, ma la nostra terra è piena di spine. Pensieri pesanti, ansie, mille impegni, preoccupazioni continue e anche lì, la Parola, pur avendo attecchito, fatica a respirare. È come se fosse viva, ma non libera.
E infine, ci sono quei momenti rari e preziosi in cui siamo davvero terra buona. Aperta, disponibile, presente. Il cuore non è perfetto, ma è accogliente. E lì il seme si radica, cresce, fiorisce. Non subito, ma cresce.
Ecco, la bellezza di questa parabola è che non condanna. Non dice: “Tu sei questo terreno e basta.” Dice qualcosa di molto più vero e più tenero: “Tu puoi essere ogni terreno, in momenti diversi della tua vita.” E se oggi sei strada, domani potresti essere terra.
Se oggi il seme è stato rubato via, non è finita, un altro arriverà. E magari, stavolta, troverà posto.
La Parola non smette mai di essere seminata. Dio non si stanca. Continua a lanciare semi in ogni direzione, con la fiducia ostinata di chi sa che, prima o poi, qualcosa nascerà. Anche in te. Anche in me.
E forse, il senso più bello di questa parabola è proprio questo: non si tratta solo di capire “che tipo di terreno sono”, ma di diventare sempre più capaci di accogliere ciò che ci viene dato. Di lasciare spazio. Di liberarci delle spine. Di restare aperti, anche dopo la fatica.
Perché il seme è sempre buono. E se trova spazio, prima o poi fiorisce.
Forse oggi siamo terra buona
Quadro raffigurato: Seminatore al tramonto di Vincent van Gogh , 1888