Ci sono emozioni che non si possono contenere. Ti attraversano come tempeste, ti svuotano o ti accendono, ti fanno sentire vivo e subito dopo fragile. Spesso, nessuno ci insegna a stare con queste emozioni. Ci spingono a contenerle, a ricomporsi, a rispondere con la voce ferma, anche se trema. Tuttavia, le emozioni non vogliono essere contenute, vogliono solo essere ascoltate e accolte.
E allora arriva il bisogno di silenzio. Non per reprimere, ma per lasciare che il sentire si distenda e fluisca. Come fa il mare, dopo una tempesta: usa il silenzio non come assenza, ma come rifugio. Uno spazio nudo dove l’anima possa respirare, senza spiegarsi, senza giustificarsi. Solo essere. Penso allora a La stanza blu di Vilhelm Hammershøi, artista danese noto per i suoi ritratti ed interni poetici e sommessi. Il suo dipinto cattura la vera essenza del silenzio: una donna di spalle, in una stanza spoglia dalle pareti blu, con la luce che entra da una finestra invisibile. Colori tenui, spazio vuoto e assenza di suono. Solo l’eco di un momento sopeso.
Un silenzio che non è però deserto, ma pieno di presenza. La sua opera è definita dalla sottrazione, dalla ricerca dell’essenziale e da una costante incomunicabilità che emerge attraverso un gioco di sfumature e geometrie, luci, ombre e penombre, colori polverosi per opere mai accese e, al tempo stesso, mai monocrome. Non si tratta di una incapacità di comunicare, ma di una consapevolezza più filosofica legata all’impossibilità di accedere a una intima comprensione dell’altro.
Così è allora il silenzio dopo una grande emozione. Un ritorno a sé stessi: dopo una gioia troppo luminosa o un dolore troppo vero, abbiamo bisogno di fare ordine dentro, di lasciare che il cuore smetta di tremare e che i pensieri tornino a camminare piano. Il mondo ci insegna a parlare, a spiegare, a condividere tutto. Ma c’è un tempo per la voce e un tempo per il silenzio e quel tempo muto è sacro. È il momento in cui ciò che abbiamo sentito diventa parte di noi. Come nel quadro di Hammershøi, restare in silenzio non è restare soli. È restare interi. Perché quando l’emozione ha fatto il suo passaggio, non serve aggiungere nulla, bisogna solo ascoltare ciò che resta e lasciare che quel silenzio ci insegni qualcosa di eterno: noi siamo più vasti dei nostri pensieri.
Quadro raffigurato: La stanza blu di Vilhelm Hammershøi, 1901