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DA O A 3

Qualche giorno fa, mentre riordinavo vecchie scatole di CD, ne ho trovato uno che mi ha fatto sorridere e commuovere allo stesso tempo: il primo disco di Ultimo, che avevo regalato a mia figlia quando era più piccola. Era uno di quei regali fatti quasi d’istinto, spinta più dall’intuizione che dalla moda del momento. Eppure, oggi capisco quanto fosse speciale.

Ultimo mi è sempre piaciuto per una ragione precisa: fa quello per cui è nato. La sua musica non è solo bella o orecchiabile; è onesta, diretta, autentica. È il frutto di un sogno coltivato con ostinazione, spesso controvento. La sua storia parla di un ragazzo che ha creduto nel proprio talento, anche quando nessuno – o quasi – sembrava farlo. E questa per me è magia pura.

Io, quando vedo un giovane che crea, che mette a frutto ciò che ha dentro, mi emoziono. È come se per un attimo vedessi l’umanità in uno dei suoi gesti più puri: usare il talento per generare bellezza. Quando poi quel talento incontra un’arte come la musica e la musica diventa voce dell’anima, allora è come assistere a una piccola rivoluzione personale.

Ma ciò che mi ha davvero colpita, ritrovando quel CD, è stata una frase scritta all’interno della copertina: “Ringrazio chi da 0 mi ha portato a 3, perché ha creduto in me.”

Una frase semplice, eppure potentissima. Perché in quelle parole c’è racchiuso tutto. Fermiamoci un attimo a pensarci.

Molti pensano che il percorso difficile sia quello che porta dalla mediocrità all’eccellenza, da 6 a 9, da 8 a 10. Ma la verità è che la parte più dura è l’inizio. Lo “zero” non è solo un punto di partenza: è un luogo buio, silenzioso, spesso solitario. È il momento in cui non sei ancora nessuno, quando nessuno ti nota, nessuno ti ascolta, e soprattutto… nessuno crede in te.

“Zero” è quel palco vuoto prima del primo concerto. È la tua voce che si perde nella stanza, mentre provi da solo. È il foglio bianco prima della prima canzone. È il no ricevuto, i dubbi dei tuoi genitori, gli amici che ti dicono di “fare qualcosa di serio”.

Ecco perché chi ti porta da 0 a 3 ha un valore immenso. Perché ti tende la mano quando non ha ancora nulla in cambio. Perché vede in te qualcosa che tu stesso stai ancora cercando di capire. E perché ti aiuta ad alzarti, a credere, a iniziare.

C’è una citazione di Paulo Coelho che dice: “Quando desideri qualcosa, tutto l’universo cospira affinché tu possa realizzarla.”

Ma spesso, prima che l’universo si accorga di noi, abbiamo bisogno di qualcuno che ci creda per primo. Qualcuno che ci dica: “Vai. Io ti vedo. Io ci credo.”

Ritrovando quel CD, ho pensato a mia figlia. A come anche lei abbia attraversato momenti di dubbio, di paura, di ricerca. E ho capito quanto sia importante, come genitore, non solo proteggere i sogni dei figli, ma anche saperli vedere, soprattutto quando sono appena un’idea fragile, un sussurro nel cuore.

Ultimo, con la sua musica, ha fatto molto più che scrivere belle canzoni. Ha dato voce a una generazione che lotta per esistere, che si scontra con aspettative familiari, sociali, economiche. Una generazione che non vuole solo lavorare, ma vuole esprimersi, sentirsi viva, creare.

E quando vedo un ragazzo che riesce a farlo, che usa l’arte per raccontarsi e diventa felice, sento dentro una gratitudine profonda. Perché lì, in quel gesto, c’è la prova che credere nei sogni non è utopia. È un investimento umano.

Da 0 a 3 non è solo un numero. È la salita più faticosa, quella che non si vede, quella che costruisce le fondamenta. E se oggi Ultimo è arrivato a 10, è anche grazie a quel primo “3” conquistato con fatica e a chi ha saputo vedere oltre.

Perché, senza quel piccolo passo iniziale, nessuna grande storia può cominciare.

Quadro raffigurato: White on White di Kazimir Malevich, 1918