Quante volte abbiamo visto Gesù rappresentato con le braccia aperte? Nella croce, nelle statue, nelle visioni. Sempre con quel gesto solenne, vulnerabile ed eterno. Eppure, raramente ci fermiamo a pensare davvero cosa voglia dire quel gesto. Perché Gesù non ha le braccia incrociate sul petto, come chi si protegge? Perché non è chiuso, trattenuto e difensivo? Perché l’amore vero non si protegge, si offre. L’amore vero non si stringe, si apre. E Gesù — che tu lo veda come Figlio di Dio, come Maestro, Messia o come simbolo — ci ha lasciato un messaggio eterno con il suo corpo: “Apriti. Anche se fa male. Anche se sei esposto. Anche se non ti capiscono.”
Il linguaggio del corpo parla prima ancora delle parole. E in ogni cultura le braccia aperte sono un gesto universale di apertura, di accoglienza, di fiducia. Significa: “non ho nulla da nascondere, non sono una minaccia, ti accolgo, mi affido”.
Al contrario, le braccia incrociate sul petto, sulle spalle o sul ventre parlano di chiusura, difesa, protezione, diffidenza o dolore trattenuto. È il corpo che dice: “non mi fido, non entrare, sto trattenendo qualcosa, mi sento esposto e ho bisogno di chiudermi”.
È un gesto umano, naturale. Tutti lo facciamo quando abbiamo paura o ci sentiamo giudicati. Tuttavia, quando quel gesto diventa uno stato, una postura dell’anima, allora qualcosa si spegne. Si blocca il respiro, si ritira il cuore e ci si separa dalla vita. E allora guarda di nuovo Gesù sulla croce: braccia spalancate, petto nudo, mani trafitte, eppure aperto.
Lì, in quella posizione di massima vulnerabilità, ci sta dicendo: “Io non chiudo il cuore. Nemmeno nel dolore. Nemmeno nel rifiuto.” E questo non è solo un atto d’amore, ma di potere spirituale immenso. Chi resta aperto nel dolore, ha già vinto la paura della morte. Il gesto di Gesù non è teatrale. È archetipo. È la forma del dono. È come se dicesse: “vi abbraccio tutti, anche chi mi ferisce, anche chi non crede, anche chi fugge.”
E in quel gesto, il corpo diventa preghiera. Le braccia aperte diventano ponte tra terra e cielo, tra umano e divino. È come una grande antenna che trasmette: “Sono qui. Sono vivo. Sono luce che non si chiude.”
E allora forse oggi possiamo chiederci: come stiamo tenendo le nostre braccia? Siamo chiusi, per paura, o abbiamo il coraggio — anche solo per un attimo — di spalancarci, anche se tremiamo?
Aprire le braccia non è solo un gesto fisico. È una scelta interiore. Un ritorno al cuore. Una dichiarazione silenziosa: “Nonostante tutto, io rimango aperto alla vita.” Ed è lì, in quel piccolo gesto, che ci avviciniamo a quella forza che Gesù incarnava: non la forza che domina, ma quella che accoglie. Che trasforma. Che guarisce.
Quadro raffigurato: Tentazioni di Sant’Antonio di Tintoretto, 1577