Avevo un professore di italiano al liceo, che ci insegnava a spezzare le parole per capirle davvero. Diceva che dentro ogni termine c’era nascosto un gesto umano, un frammento di vita. Oggi, ripensando a lui, mi soffermo su una parola semplice e misteriosa: tornare. Ma oggi lo scriviamo così: torna–re. Con un trattino che apre uno spazio, una pausa, un doppio significato.
Perché “torna–re” non è solo un verbo. È una geografia dell’anima. Da una parte c’è il “torna”, il gesto semplice di chi si muove all’indietro, di chi rientra. Dall’altra parte c’è il “re” . Il prefisso “re-” parla sempre di un ciclo: riprendere, risalire, riaccendere, ricominciare. È l’idea che possiamo tornare. Che ciò che è stato spezzato può essere ricucito. Che l’uomo non è condannato a perdersi per sempre. Ma accanto a questo c’è anche il Re: non come sovrano esteriore, ma come simbolo interiore. Il Re che ognuno porta dentro, colui che guida, che ordina, che governa — non gli altri, ma sé stesso. Torna–Re allora è il gesto di chi rientra nel proprio centro, nella propria autorità interiore, nel proprio asse. È ritornare Re di sé stessi. In un mondo dove ci si disperde, dove tutto ti porta fuori — fuori casa, fuori corpo, fuori verità — tornare è un atto regale. È il Re che riprende posto sul suo trono.
È l’uomo che si rialza, guarda il caos intorno e dice: “Adesso comando io”. Ma non con forza cieca o imposizione. Comanda perché è tornato a sé. Torna chi ha vissuto. Chi si è smarrito. Chi ha cercato altrove. E poi comprende che il vero regno non era fuori, ma dentro. Torna–Re è un verbo per chi non vuole più fuggire. Per chi accetta il dolore, l’errore, la distanza e li integra. È un verbo per chi sceglie di rientrare nel luogo da cui si era allontanato: la propria coscienza, il proprio scopo, la propria verità. Oggi più che mai, mentre siamo spinti verso il rumore, verso l’apparenza, verso il “nuovo” a ogni costo, tornare è un gesto potente.
E tornare Re è una dichiarazione: che non hai più bisogno di cercare approvazione, che non hai più paura di guidare la tua vita, che sei pronto a regnare, dentro.
Quadro raffigurato: L’Angelus di Millet, 1858-1859