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LEGARSI ALL’ALBERO PER NON PERDERSI

Nell’Odissea c’è un passaggio che racconta molto sulla forza di un uomo che conosce sé stesso. Un momento in cui Ulisse non brandisce spade, non combatte mostri, non conquista terre. Fa qualcosa di molto più difficile, molto più sottile, molto più nobile: sceglie di non fidarsi della propria forza. Sta per attraversare il tratto di mare in cui cantano le Sirene. Nessuno ne è mai uscito vivo. Il loro canto è dolce, ipnotico, perfetto. Non è un canto di guerra, è un canto che ti sussurra esattamente ciò che vuoi sentire. Ti accarezza l’anima. Ti promette bellezza, piacere, comprensione, immortalità. E poi ti uccide.

Ulisse lo sa. Sa che quel canto ha fatto naufragare uomini più forti di lui, più esperti, più duri. Ma non scappa. Non si blinda. Non si tappa le orecchie. Vuole ascoltarlo. Vuole sentirlo fino in fondo. Perché il desiderio non si combatte chiudendo gli occhi. Si combatte guardandolo dritto negli occhi, restando in piedi.

Così si fa legare all’albero maestro. Ordina ai suoi uomini di non scioglierlo, per nessuna ragione. Anche se li supplicherà, anche se urlerà. E infatti, lo fa. Quando sente il canto, il suo corpo si ribella, urla, si dimena, implora. Vuole liberarsi, vuole gettarsi in mare, vuole raggiungerle. Ma l’albero lo tiene. Le corde lo tengono. La sua scelta lo tiene.

Ecco la vera forza. Non quella di chi non sente niente. Non quella di chi si illude di essere superiore. Ma quella di chi conosce il proprio limite e sceglie, prima del pericolo, di restare integro. Ulisse si è legato quando era ancora lucido. Non ha aspettato il momento della debolezza. Non ha giocato col fuoco. Ha previsto il proprio cedimento e ha scelto di resistergli prima ancora che arrivasse.

Ma cosa significa, davvero, legarsi all’albero? Cosa rappresenta quell’albero, e cosa sono quelle corde? L’albero maestro della nave è il punto più saldo, il centro, l’asse verticale che tiene insieme tutto. È ciò che non si muove, mentre il mare ondeggia, mentre il vento urla, mentre il caos cerca di prendere il controllo. L’albero è la tua direzione. È la tua missione, il tuo principio non negoziabile, la tua verità. È ciò a cui ti leghi per non dimenticare chi sei, quando tutto intorno — e dentro — cerca di sradicare la tua integrità.

E le corde? Le corde sono le regole che ti sei dato, le scelte che hai preso a freddo, le discipline che hai costruito prima che il desiderio bussasse alla porta. Le corde sono le tue promesse. Sono il “no” che hai già detto mille volte nella tua mente, prima che arrivi la situazione che ti tenta a dire “sì”. Le corde sono le azioni consapevoli, i confini. Sono il tempo che hai dedicato a capire davvero chi vuoi essere. Perché se aspetti di decidere chi sei quando il canto delle Sirene ti attraversa il cuore, sei già finito. La corda può essere il silenzio che scegli ogni mattina. Può essere una pratica spirituale, un principio sacro, un codice d’onore. Può essere l’allenamento costante alla presenza. Può essere anche un “no” che ripeti a te stesso con rispetto, ogni volta che senti quella parte dentro di te che vuole solo mollare tutto per inseguire qualcosa che luccica.

Legarsi all’albero significa creare un vincolo con la tua parte più alta, con il te stesso che non si vende, che non si svende, che non si perde per un abbraccio, uno sguardo, una conferma. Significa sapere che il desiderio arriverà, che sarà potente, che parlerà la lingua giusta. È decidere oggi, non in quel momento, che tu non seguirai quel canto. Significa onorare la tua verticalità. Legarti al tuo asse.
Oggi tutti dicono che un uomo deve essere libero, che deve seguire il suo istinto, il suo desiderio, “vedere che succede”, “vivere l’esperienza”. Ma la verità è che un uomo libero non è uno che fa tutto ciò che sente. È uno che sa dove vuole andare e decide cosa ascoltare e cosa no. Sa distinguere una voce vera da un canto seducente che lo porterà fuori rotta. Sa dire no non perché è chiuso, ma perché ha già detto sì a qualcosa di più grande.

Quando si parla di rimanere immuni alle donne, il punto non è evitare, reprimere, negare. Non si tratta di fare i finti forti o i moralisti. Si tratta di non perdersi. Di non diventare schiavi del proprio appetito. Di non lasciarsi risucchiare ogni volta che una voce dolce promette quello che in fondo stai cercando da sempre: attenzione, conferma, amore.

Ulisse vuole ascoltare. Ma non vuole perdersi. Vuole attraversare la prova e non farsi schiacciare. Per questo si lega, con lucidità, con umiltà, con coraggio. E quando il canto finisce, è ancora lì. Non naufrago, ma integro. Non distrutto, ma più forte. Non vuoto, ma pieno di sé.

Ecco cosa fa un uomo quando sa chi è. Non scappa. Non si illude. Si prepara. Si lega all’albero.

Quadro raffigurato: Ulisse e le sirene di John William Waterhouse, 1891