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SAGOME CHE PARLANO

Molti mi hanno scritto chiedendomi di ripubblicare alcuni esercizi di arteterapia che erano presenti nel vecchio sito. Ho pensato allora di iniziare da uno dei più semplici, ma anche dei più profondi e trasformativi: il body tracing. Un esercizio che faccio regolarmente con i miei figli e che ogni volta porta in superficie piccole verità inaspettate. Isabella per ora è esonerata — la maturità le reclama ogni cellula — ma sa bene che questo esercizio l’attende non appena si allenterà la tensione. È un appuntamento con sé stessi che non si può rimandare troppo a lungo.

L’arteterapia, per chi non la conosce, non è semplicemente un “disegnare”. È uno strumento di espressione profonda, non verbale, capace di dare forma e colore a emozioni che non trovano parole. È uno spazio di libertà, dove il corpo, la psiche e l’immaginazione possono comunicare senza filtri. I bambini, e spesso anche gli adulti, riescono attraverso il gesto creativo a raccontare cose che non saprebbero spiegare, o che magari nemmeno sanno di sapere.

Il body tracing inizia in modo semplice: si fa sdraiare il bambino (ma vale anche per gli adulti!) su un grande foglio bianco e si traccia il contorno del suo corpo. È un momento quasi giocoso, che rompe il ghiaccio. Poi però inizia la parte più profonda. All’interno della sagoma, ognuno è invitato a disegnare, colorare, scrivere, segnare tutto ciò che sente nel corpo in quel momento: emozioni, sensazioni, pensieri, tensioni, energie, vuoti, desideri.

Tendenzialmente io lascio fluire la creatività dei bambini. Non impongo regole, non indirizzo. Lascio che siano loro a “parlare” attraverso le immagini. Ma se si percepisce incertezza o blocco, si può guidare con alcune domande potenti, che aprono lo spazio del sentire senza forzare:

– Dove senti la rabbia oggi?

– C’è un punto del corpo in cui abita la paura?

– Se la felicità fosse un colore, dove starebbe nel tuo corpo?

– Cosa tieni nascosto e dove?

– Hai una parte forte? E una parte fragile? Dove le metteresti?

Sono domande che non cercano risposte logiche. Servono solo a far partire il movimento, ad aprire una porta, ad avvicinare qualcosa che vive nel corpo e nel silenzio.

Ma l’esercizio non finisce lì. Dopo aver completato il disegno, c’è una parte che considero fondamentale: la verbalizzazione familiare del lavoro. Ci si siede insieme, con calma, davanti al disegno del corpo. Si guarda, si ascolta, si chiede. Non si analizza, non si interpreta, non si banalizza. Si sta.

A volte bastano poche parole: “Questa parte è tutta nera… com’è mai?” Altre volte il bambino inizia a raccontare da solo: “Qui c’è la mia rabbia perché oggi mi hai sgridato”, “Qui mi sento caldo perché sto crescendo”.

Non sempre si parla molto, ma è proprio la possibilità di esserci — dentro un linguaggio non giudicante — a rendere questo momento così prezioso. Quel corpo disegnato diventa uno specchio, una mappa, un contenitore emotivo. Non si tratta solo di un disegno: è un luogo di verità, dove si riconosce ciò che normalmente scorre sotto traccia.

Chi sente il bisogno di ritrovarsi — o di creare un nuovo modo di dialogare con i propri figli, o con sé stesso — può iniziare da qui. Dal corpo, da una matita, da un silenzio che finalmente prende forma.

E sì, Isabella lo sa. Appena avrà finito con gli esami, la matita l’aspetta. Perché non c’è maturità più profonda di quella che ti insegna ad ascoltare ciò che senti davvero — senza filtri, né voti.

Immagine raffigurata: Body tracing, esercizio di Arteterapia