Questa mattina ho ricevuto una telefonata davvero dolce da mia cugina. Mi ha chiesto qualche consiglio per affrontare una situazione che sta preoccupando un po’ lei e suo marito: la loro bambina si agita molto quando perde il controllo di qualcosa o non riesce a superare un ostacolo. Mi ha chiesto come aiutarla a gestire queste frustrazioni e le ho promesso di scriverle due righe con qualche spunto utile, tratto dal mio percorso come parent coach. E così eccomi qui, pronta a condividere con voi ciò che credo possa fare davvero la differenza quando si tratta di alimentare la percezione del proprio valore nei bambini.
L’autostima, infatti, non cresce da sola come per magia. È un po’ come una pianta delicata: ha bisogno di terreno fertile, di cure quotidiane e di luce. E chi sono i primi giardinieri di questa pianta? Noi genitori, naturalmente.
Un bambino comincia a costruire la propria immagine di sé guardandosi nello “specchio emotivo” degli adulti che ha intorno. Se quel riflesso è pieno di fiducia, amore e accoglienza – anche nei momenti più difficili – allora quel bambino inizierà davvero a credere in sé stesso. Semplice, vero? Eppure, nella quotidianità non è affatto così automatico.
Fermarci, guardare nostro figlio con attenzione e dare valore a ciò che prova e a chi è, piuttosto che concentrarci solo su ciò che fa, è un gesto potente. I bambini si sentono davvero importanti quando sanno di essere visti, ascoltati e compresi.
A volte, nel tentativo di proteggerli, possiamo essere tentati di evitare che provino frustrazione. Tuttavia, questo può finire per farli sentire insicuri. Accompagnarli attraverso le difficoltà, senza giudicarli, insegna loro che sbagliare non è la fine del mondo, ma una grande occasione per crescere. L’autostima si nutre proprio di queste esperienze: cadere e sapere che possiamo sempre rialzarci. Perché anche i genitori sbagliano e non sono perfetti.
Un altro aspetto che fa la differenza? Coinvolgerli nella quotidianità, nelle piccole decisioni, affidando loro compiti adeguati all’età. In questo modo si sentono capaci, utili, in grado di contribuire. E sentirsi utili è uno dei modi migliori per rafforzare l’autostima.
Questo ci porta a un altro concetto importante: l’autoefficacia. Il famoso psicologo Albert Bandura la definisce come la fiducia che una persona ha nelle proprie capacità di affrontare le sfide. Quando un bambino sviluppa questa fiducia, si sente più forte, più sicuro, più pronto a superare gli ostacoli e a imparare dai propri errori. Ecco perché è così importante dare ai nostri figli spazio per essere autonomi. Non significa lasciarli da soli, ma permettere loro di provare, sbagliare e riuscire.
Naturalmente, le sfide devono essere adeguate: né troppo facili, né troppo difficili. Serve equilibrio. Per fare questo, si può utilizzare anche il metodo SMART (obiettivi Specifici, Misurabili, Accessibili, Rilevanti, Temporizzati), che nel coaching si usa per raggiungere traguardi, e che può essere adattato in modo leggero anche con i bambini. Questo li aiuta a vedere che anche i piccoli successi quotidiani sono un passo importante.
Un altro strumento fondamentale è… la parola. Le parole sono potenti, costruiscono o distruggono. Marshall Rosenberg, nel suo libro sulla comunicazione non violenta, scriveva: “Le parole sono finestre oppure muri”. Quelle frasi che diciamo magari con frustrazione – “Non ce la fai mai”, “Sei pigro”, “Fai sempre così” – si imprimono nella mente dei nostri figli. Tuttavia, anche quelle positive lo fanno: “Credo in te”, “Hai qualcosa di speciale”, “So che puoi farcela”.
Mia figlia Ottavia, per esempio, ha ormai imparato a ripetere a sé stessa: “Non ci riesco, ma ci provo.” E questo la spinge a non mollare. Le parole sono davvero i mattoni con cui i bambini costruiscono la loro identità.
Spesso porto l’esempio della mamma di Chiara Ferragni, che ripeteva continuamente alla figlia: “Tu puoi tutto!” E quel “puoi tutto” l’ha portata a raggiungere il successo.
Ecco, questo è un messaggio che dovremmo far arrivare anche ai nostri figli, ognuno a modo suo: “Tu vali. Sempre. Anche quando non ci credi. E io sarò accanto a te, finché imparerai a crederci da solo.” Perché, in fondo, aiutare un figlio a costruire una buona autostima non significa riempirlo di complimenti. Significa dargli radici forti e ali leggere. Significa esserci mentre scopre chi è, senza sostituirsi a lui nel viaggio.
Alla fine, però, non dimentichiamolo mai: l’amore incondizionato è la base di tutto. Un bambino ha bisogno di sapere che è amato sempre, anche quando sbaglia, anche quando è arrabbiato, anche quando si comporta male. Solo così potrà crescere con quella sicurezza interiore che gli servirà per tutta la vita.
Essere un bravo genitore, lo ripeto spesso, è un viaggio che parte da noi e finisce in noi. Non esistono figli più bravi o meno bravi, figli più facili o difficili da gestire. E se devo essere sincera, quando ero bambina, il mio mito era Giamburrasca. Sì, proprio lui: ribelle, impulsivo, inarrestabile. Un concentrato di energia e immaginazione che metteva in crisi gli adulti, ma che, sotto sotto, cercava solo di essere visto, capito e amato.
Forse è anche per questo che oggi, da mamma e da coach, scelgo di stare dalla parte dei bambini, anche (e soprattutto) quando fanno un po’ di caos e sembrano dei ribelli. Anche quando sembra che tutto stia andando storto, i bambini hanno bisogno di sapere che sono amati e compresi. Semplicemente perché sono bambini.
Quadro raffigurato: Il viaggiatore di Marc Chagall, 1917